Le cellule mesenchimali si trovano in quasi tutti i tessuti umani, dalle ossa alle cartilagini, dai legamenti al tessuto adiposo. Con l’aumentare dell’età, però, il loro numero diminuisce. Queste cellule possono essere prelevate dal cordone ombelicale, dal midollo osseo o dal tessuto adiposo.
Il prelievo da cordone ombelicale prevede una complessa organizzazione sia di prelievo che per lo stoccaggio e, anche a causa degli alti costi è stato un po’ accantonato.
Il prelievo da midollo osseo è più frequente. Qui, l’ostacolo principale è l’alta invasività del prelievo con una o più cicatrici conseguenti alla necessità di perforare l’osso. Spesso i pazienti si lamentano di questo ancor più che del disagio sull’articolazione trattata; anche per questo prelievo è necessaria una strumentazione complessa e costosa. Il più diffuso è il prelievo da tessuto adiposo.
Molteplici sono i vantaggi, dalla bassa invasività del prelievo con cicatrici quasi invisibili alla disponibilità di tessuto, fino alla semplicità del prelievo con tecnica standardizzata. Il tessuto adiposo morcellizzato (finemente spezzettato) che si ottiene si presenta ricco di cellule mesenchimali attivate.
Trattare le lesioni articolari con cellule mesenchimali attivate è la nuova frontiera in questo campo. Superata una prima fase sperimentale, sono numerosi gli studi clinici che dimostrano la validità clinica dell’intervento. In letteratura sono reperibili studi, con casistiche numerose e che vanno oltre i quattro anni di sperimentazione. Anche presso il centro che dirigo a Napoli, è stato condotto uno studio clinico controllato che ha dimostrati i miglioramenti clinici e radiografici su pazienti di varie età e con patologia articolare cartilaginea in stadi diversi. In alcuni casi, questo ha permesso di sostituire la terapia con cellule mesenchimali attivate alla terapia chirurgica nella correzione delle lesioni complesse. Risultati clinici riconosciuti a livello internazionale, in particolare in schede WOMAC e KOOS.
I grafici mostrano i miglioramenti progressivi nei primi sei mesi, dopo un anno e dopo due anni.
I controlli sono stati effettuati eseguendo RM articolari prima del trattamento, a sei mesi e ad un anno. Si evidenzia stabilizzazione e rallentamento dell’evoluzione del processo artrosico.
In presenza di un processo artrosico molto avanzato, naturalmente è impossibile assistere a una revisione, anche se i migliori risultati clinici si sono avuti in pazienti anziani.
Ci sono cellule in grado di differenziarsi in individui completi. Esse si chiamano cellule staminali totipotenti. All’inverso, le cellule mesenchimali attivate (MSC), sono multi potenti e in grado di replicarsi e differenziarsi in molteplici linee cellulari o nei loro precursori. Possono differenziarsi, comunque, solo in alcuni tipi cellulari, indirizzate come sono verso una specifica tipologia di tessuti. Una vantaggio sia per l’uso clinico che da un di vista biologico.
In figura sono mostrate le possibilità differenziative principali. Si noti che queste cellule possono differenziarsi nei principali tipi istologici di ossa e di articolazioni.
Peter V.Giannoudis ha sintetizzato il concetto di base per l’utilizzo delle cellule mesenchimali nel diamante biologico, il quale si basa sul principio che per ottenere la guarigione di un tessuto biologico sono necessari fattori sia fisici che biologici.
Un ruolo fondamentale è svolto dalle cellule mesenchimali (MSCs), come si evince dallo schema precedente. Le cellule mesenchimali, in ambito clinico, hanno dimostrato un sostegno biologico nella guarigione delle fratture e la capacità di bloccare l’evoluzione artrosica di una articolazione in sofferenza.
Oltre a una diminuzione della sintomatologia algica, prendendo parte alla “normalizzazione” dell’ambiente articolare.
La sostituzione articolare del ginocchio con una protesi è un intervento diffuso, comunque non banale. Deve essere, infatti, eseguito in ambiente chirurgico adeguato. La casista svela che i risultati sono molto buoni nell’80% dei casi, pur rimanendo una bassissima percentuale di complicanze. Una protesi di ginocchio, impiantata correttamente e di buona qualità, ha una vita che può andare oltre i 25 anni. Anche se su Internet si leggono dichiarazioni palesemente false su durate illimitate, non esiste oggi un modello di protesi che dura per sempre.
La protesi, infatti, sono strumenti meccanici. Quando il paziente è sovrappeso o obeso è impossibile che l’articolazione protesizzata non sia compromessa anzitempo durante l’uso. In ogni caso, una adeguata fisioterapia può aiutare ad allungare la vita della protesi.
Sono numerosi gli studi scientifici che hanno testato i fattori di crescita piastrinici, sia in laboratorio che su animali. Essi hanno dimostrato l’efficacia nella guarigione macroscopica ed istologica delle lesioni cartilaginee isolate. I test di resistenza meccanica hanno mostrato netti miglioramenti grazie all’uso del PRP. Nel campo della degenerazione osteo artrosica si è assistito a un rallentamento della degenerazione artrosica, alla stabilizzazione del numero di condrociti e all’aumento della sintesi di collagene. Gli effetti positivi sono stati dimostrati anche nei casi di artrite reumatoide.
Un recente studio evidenziato una efficacia maggiore rispetto all’acido ialuronico ad alto peso molecolare, ad un anno di distanza con risultati misurati clinicamente.
Gli effetti positivi, particolarmente nei pazienti più giovani, continuano fino a sei mesi dal termine del ciclo infiltrativo. Nei pazienti più anziani con osteoartrosi conclamata, invece, i risultati tra PRP e acido ialuronico non sono esaltanti.
I fattori di crescita piastrinici si ottengono direttamente dalla raccolta dal sangue del paziente. Questa, avviene tramite un prelievo venoso analogo a quello effettuato per le normali indagini di routine. Grazie agli ultimi sviluppi tecnologici, la quantità di sangue è diminuita ed è pari a circa 80/90cc.
Il sangue viene poi centrifugato utilizzando di un gel poroso studiato appositamente.
La parte corpuscolata viene completamente separata dalla parte cellulare come mostrato nella figura sotto. La parte ricca di piastrine si definisce “buffycoat”.
Con una siringa viene prelevata insieme alla parte corpuscolata del plasma. Il PRP può essere utilizzato anche gelificato con l’aggiunta di calcio gluconato e trombina autologa.
Le piastrine, che sono una componente essenziale del sangue, hanno al loro interno granuli, detti alfa, formati da svariate proteine con compiti diversi, dalla coagulazione allo stimolo, fino alla guarigione e alla rigenerazione tissutale.
Nel campo ortopedico, i fattori di crescita più rilevanti sono: quelli che stimolano la crescita di neo-vascolarizzazione; quelli che stimolano la crescita epiteliale; quelli che agiscono sugli osteoblasti per indurli a formare osso.
In caso di frattura un ruolo importante, infatti, è ricoperto dalle piastrine presenti nell’ematoma di frattura. Esse degranulano rilasciando fattori che portano alla costituzione di nuovi vasi e osso.
Il processo di guarigione tissutale è complesso e richiede citochine e mediatori biologici.