Le articolazioni svolgono un ruolo fondamentale nel nostro benessere quotidiano. Ogni movimento, ogni passo e ogni attività della nostra giornata dipendono dalla loro salute. Tuttavia, molte persone tendono a trascurarle finché il dolore non diventa insopportabile. In questo articolo, voglio condividere i miei migliori consigli per prendersi cura delle articolazioni, prevenire i dolori e rimanere attivi a qualsiasi età.
Perché è importante prendersi cura delle articolazioni?
Le articolazioni sono il punto di incontro tra due o più ossa e consentono al corpo di muoversi in modo flessibile e armonioso. Mantenere queste strutture in salute è fondamentale per evitare dolori cronici e migliorare la qualità della vita. Uno stile di vita attivo aiuta a prevenire le degenerazioni articolari, mantenendo ossa e muscoli in equilibrio e riducendo il rischio di lesioni e infiammazioni.
Molte persone ignorano l’importanza di mantenere in salute le proprie articolazioni fino a quando non compaiono dolori persistenti. Un’adeguata cura preventiva può aiutarti a mantenere la mobilità e il benessere a lungo termine, evitando di dover ricorrere a interventi chirurgici o trattamenti complessi.
Consigli per mantenere le articolazioni in salute
Alimentazione corretta per le articolazioni
Una corretta alimentazione gioca un ruolo fondamentale nel preservare la salute articolare. I nutrienti più importanti includono Omega-3, vitamina D e calcio, che aiutano a mantenere le ossa forti e ridurre l’infiammazione. Una dieta ricca di pesce azzurro, frutta secca, verdure a foglia verde e latticini offre il supporto necessario per la rigenerazione e la protezione delle articolazioni.
Ad esempio, il pesce azzurro come il salmone e le sardine è ricco di Omega-3, acidi grassi che riducono l’infiammazione. La vitamina D è essenziale per l’assorbimento del calcio e la salute delle ossa, quindi ti consiglio di consumare cibi ricchi di calcio o di esporre la pelle al sole per brevi periodi ogni giorno.
Esercizi da fare a casa per rinforzare le articolazioni
Anche l’attività fisica gioca un ruolo chiave nella salute articolare. Esercizi a basso impatto come lo stretching, lo yoga e le camminate sono perfetti per mantenere la flessibilità e rafforzare i muscoli senza sovraccaricare le articolazioni. Eseguire esercizi regolari aiuta a migliorare il flusso sanguigno nelle articolazioni, a ridurre la rigidità e a stimolare la produzione di liquido sinoviale, essenziale per lubrificare e proteggere le articolazioni.
Stretching quotidiano: Dedica almeno 10 minuti al giorno a esercizi di allungamento che coinvolgono tutte le principali articolazioni, come spalle, anche e ginocchia.
Yoga: Le posizioni yoga aiutano a migliorare l’equilibrio e la forza muscolare, riducendo il rischio di cadute e di lesioni articolari.
Camminate: Camminare per 30 minuti al giorno non solo aiuta il sistema cardiovascolare, ma rinforza anche le articolazioni senza stressarle eccessivamente.
Abitudini da evitare per prevenire dolori articolari
Alcune abitudini possono compromettere la salute delle articolazioni e aumentare il rischio di sviluppare patologie dolorose. Tra le principali, troviamo:
Posture scorrette: Passare ore seduti in posizioni sbagliate può causare stress eccessivo su articolazioni come la schiena e le ginocchia. Mantieni una postura corretta, con schiena dritta e spalle rilassate.
Sovrappeso: I chili di troppo esercitano una pressione eccessiva sulle articolazioni, in particolare su quelle delle gambe, aumentando il rischio di artrosi. Cerca di mantenere un peso adeguato per ridurre questo carico.
Movimenti ripetitivi: Lavorare per lungo tempo in posizioni che richiedono movimenti ripetitivi può portare a infiammazioni e usura delle articolazioni. Adotta pause frequenti e cambia posizione per ridurre il rischio.
Quando consultare un Ortopedico?
Se si manifestano sintomi come dolore persistente, gonfiore o limitazione dei movimenti, potrebbe essere il momento di consultare uno specialista. Ignorare questi segnali di allarme potrebbe portare a un peggioramento della condizione e rendere necessarie terapie più invasive.
Ti consiglio di non trascurare questi sintomi e di valutare una consulenza specialistica per ricevere una diagnosi accurata e un trattamento personalizzato. Intervenire tempestivamente permette di prevenire complicazioni e di adottare soluzioni efficaci per migliorare la qualità della tua vita. La salute delle articolazioni è una componente essenziale del nostro benessere. Con pochi accorgimenti quotidiani e una maggiore attenzione alle esigenze del nostro corpo, possiamo fare molto per prevenire dolori e infortuni. Se stai già sperimentando fastidi o dolori articolari, non esitare a contattarmi per una valutazione specialistica: insieme troveremo una soluzione su misura per te.
Le fratture del piatto tibiali sono fratture che coinvolgono la parte prossimale della tibia e la
superficie articolare del ginocchio. Sono fratture ad alta energia che interessano anche la
superficie articolare per cui molto complesse da trattare ed altamente invalidanti. Spesso si
associano anche complesse lesioni capsulo-legamentose che complicano ulteriormente il
trattamento.
Come avviene frequentemente in traumatologia esiste tutto uno spettro di lesioni del piatto tibiale, si va da quelle più semplici e composte a veri e propri sfaceli con lesioni pluriframmentarie, quasi
impossibili da trattare, e con risultati clinici e funzionali decisamente insoddisfacenti anche con un
trattamento chirurgico.
Meccanismo di lesione
Il meccanismo di lesione più frequente è il trauma da strada. In particolare, il trauma tipico è
quello di incidente in moto o motorino in cui il ginocchio viene colpito da un altro mezzo oppure la
moto, cadendo, schiaccia il ginocchio sull’asfalto. Anche il trauma diretto di una macchina contro un pedone è frequente, in questi casi se il trauma è laterale spesso si associano lesioni legamentose
importanti.
Altro meccanismo di lesione frequente è il trauma contusivo-distorsivo durante uno
sport di contatto ad alta energia. Tipiche sono le lesioni durante partite di rugby o di football
americano o anche di calcio e calcetto. Questo tipo di lesioni avvengono anche nel ciclismo e nello
sci alpino.
Sintomi
I sintomi più comuni di una frattura del piatto tibiale includono:
Forte dolore con il carico o con la semplice mobilizzazione dell’arto inferiore.
Il ginocchio tende a gonfiarsi velocemente per il versamento ematico imponente che si forma in articolazione
Deformità: il ginocchio può sembrare “fuori posto” e la gamba può apparire più corta e storta.
In caso di lesioni associate capsulo-legamentose, si assiste alla comparsa di vasti ematomi intorno al ginocchio.
Anche la cute soffre tantissimo in caso di trauma diretto in quanto viene schiacciata se non, addirittura, lacerata dalla compressione tra l’osso e la superficie dura contro cui si va sbattere. Ovviamente la deambulazione è impossibile.
Le lesioni legamentose che più spesso si associano sono la lesione del legamento collaterale mediale, del legamento collaterale laterale e del legamento crociato anteriore.
Nei casi più gravi si associano anche lesioni dei vasi e dei nervi che rendono il trattamento urgente e
molto complesso.
Diagnostica
La prima valutazione deve essere sempre clinica per valutare l’entità della lesione, la presenza di
eventuali lesioni associate ed escludere lesioni nervose e vascolari. La successiva valutazione viene fatta, spesso già in pronto soccorso, con un esame RX nelle proiezioni classiche in antero-posteriore e in laterale.
La radiografia consente una valutazione abbastanza precisa del sito e della estensione delle lesioni. In alcuni casi è possibile anche riconoscere segni indiretti di lesioni capsulo-legamentose.
Oggi è sempre più frequente associare anche una valutazione TC, spesso con ricostruzioni
tridimensionali, che permette una migliore caratterizzazione della frattura e quindi una più facile
pianificazione del trattamento, sia esso conservativo che chirurgico.
Il trattamento conservativo in apparecchio gessato o con ginocchiera è ormai riservato a pochissimi
casi in cui la frattura è parziale o del tutto composta. Uno spazio anche se abbastanza ristretto esiste anche per una riduzione indiretta sotto controllo artroscopico ed una sintei percutanea con viti.
Il tipo di trattamento più frequente è quello chirurgico con una riduzione cruenta a cielo aperto ed
una sintesi interna con placca e viti.
In alcuni casi più complessi sono necessarie anche due o tre placche e viti libere in aggiunta a quelle delle placche. Talvolta è necessario utilizzare osso autologo o sintetico per riempire eventuali deficit ossei legati all’elevata energia del trauma.
In alcuni casi, purtroppo, non è possibile la ricostruzione del piano articolare, che serve solo per creare una buona base ossea su cui successivamente impiantare una protesi articolare.
La fase post-operatoria
Il paziente torna in camera con un drenaggio articolare ed un’immobilizzazione in doccia gessata o
ginocchiera articolata. Molto utile nelle prime fasi utilizzare un Kinetec per la mobilizzazione passiva continua. Il carico viene concesso in base al tipo di frattura ed ai controlli radiografici successivi e può variare da un mese a tre mesi.
L’articolazione femoro-rotulea può andare incontro a degenerazione e provocare dolore. Ciò accade in presenza di un sovraccarico meccanico, durante lavori o sport che si svolgono con il ginocchio flesso, in presenza di alterazioni anatomiche dell’apparato estensore o di alterata conformazione anatomica della rotula, della troclea oppure del tendine rotuleo. Il dolore è quasi sempre riferito alla parte anteriore del ginocchio.
Rotula, cos’è
La rotula unisce il tendine quadricipitale al tendine rotuleo. È un osso sesamoide, cioè di forma simile al seme del sesamo, che fa parte integrante del sistema estensore del ginocchio. La sua funzione principale è quella di centrare le forze estensorie sulla troclea femorale. La rotula è rivestita posteriormente di cartilagine. Dal punto di vista biomeccanico è un osso sottoposto a forze in compressione e forze tangenziali elevate.
Meccanismo di lesione della rotula
La faccia posteriore della rotula è divisa in due faccette articolari ed è rivestita di cartilagine. Essa scorre nella troclea femorale ad ogni flesso estensione del ginocchio. L’articolazione femoro-rotulea, come tutte le altre articolazioni, può andare incontro a degenerazione. Le cause più frequenti di degenerazione della femoro rotulea sono:
Sovraccarico meccanico dovuto ad un eccesso ponderale in pazienti sovrappeso
Lavori o sport che si svolgono con il ginocchio flesso
Alterazioni anatomiche dell’apparato estensore che portano ad un sovraccarico su una delle due faccette articolari
Alterata conformazione anatomica della rotula, della troclea oppure del tendine rotuleo
Diagnosi
La diagnosi viene fatta con una prima valutazione clinica e la storia del paziente assume notevole rilevanza nella diagnosi. Il problema di una alterazione anatomica o di un cattivo allineamento del sistema estensore è molto frequente in giovani donne. Un problema di sovraccarico funzionale è più frequente in maggiore età. Il segno più frequente è lo scroscio articolare che si apprezza in flesso-estensione con la mano sulla rotula. Frequente è anche la produzione di rumori quando ci si alza dalla sedia. La diagnosi radiologica avviene praticando un esame radiografico del ginocchio completo e con le proiezioni assiali. Ulteriori informazioni si ottengono con una TC o RM nei tagli assiali.
Trattamento del dolore alla rotula
Nei casi lievi il trattamento può essere anche solo fisiochinesiterapico, che si esegue rinforzando alcuni muscoli stabilizzatori della rotula ed indossando una ginocchiera apposita. Anche alcune infiltrazioni articolari di acido ialuronico possono essere di aiuto.
Nei casi più gravi si ricorre alla chirurgia. Il primo passo è una artroscopia che serve a confermare la diagnosi e, sempre in artroscopia, si possono praticare lisi (scivolamenti) di alcuni legamenti che aiutano a centrare la rotula sulla troclea. Se tutto ciò non fosse sufficiente si ricorre a trasposizione della tuberosità tibiale anteriore per riallineare l’apparato estensore.
Fase post-chirurgica
Il paziente torna in stanza con apposito bendaggio compressivo e con drenaggio articolare. Nel caso di intervento sulla tuberosità tibiale anteriore, anche con ginocchiera rigida in estensione. In entrambi i casi il pernottamento in clinica è di uno/due giorni per valutare l’andamento ed il sanguinamento. E’ consigliata la deambulazione con doppio bastone e carico sfiorante nel post-operatorio.
Per protesi del ginocchio si intende la sostituzione di una parte o di tutta l’articolazione del ginocchio. I motivi possono essere diversi. Spesso, per una grave degenerazione artrosica l’articolazione del ginocchio è completamente distrutta, e il paziente non è più in grado di affrontare la vita di tutti i giorni in completa autonomia. In questi casi si deve ricorrere alla sostituzione dell’intera articolazione con una articolazione artificiale.
Nella prima foto si vede una radiografia di un ginocchio normale dove è presente, tra i capi articolari, un rivestimento di cartilagine (nero in radiografia) che permette lo scivolamento tra loro con basso attrito e senza dolore.
Nella seconda radiografia vediamo un ginocchio valgo-artrosico, si vede come il compartimento esterno è completamente usurato ed i capi ossei sono a diretto contatto tra loro.
Interventi in base al quadro clincio
Quando il compartimento esterno è completamente usurato e i capi ossei sono a diretto contatto tra loro lo scivolamento diretto osso su osso è molto doloroso. L’asse meccanico di tutto l’arto inferiore, inoltre, appare deviato (ginocchio valgo-artrosico).
Quando ad essere interessata è solo una parte del ginocchio (un compartimento), si ricorre ad una protesi monocompartimentale.
Quando tutta l’articolazione è danneggiata si ricorre ad una protesi totale o tricompartimentale.
Diversi tipi di protesi
La protesi monocompartimentale è certamente meno aggressiva chirurgicamente e permette una riabilitazione facilitata. Per poter utilizzare una protesi monocompartimentale tutti gli altri compartimenti del ginocchio devono essere indenni ma questo, purtroppo, capita raramente.
Fino ad una ventina di anni fa l’intervento di protesi totale era considerato tra i più impegnativi della chirurgia ortopedica, oggi i grandi progressi della tecnica chirurgica e delle protesi hanno diminuito di molto il trauma per il paziente, consentendo riprese funzionali veloci e pressoché complete nella maggior parte dei casi.
Design protesico
Il design protesico si è evoluto moltissimo, con disegni geometrici delle componenti sempre più compatibili e con un funzionamento meccanico della articolazione molto simile a quello nativo. Il materiale protesico più utilizzato è il cromo-cobalto, al contrario delle protesi di anca che sono in maggior parte in lega di titanio. La scelta del cromo-cobalto è legata alla resistenza ed alla elasticità necessarie nelle protesi di ginocchio.
Avanzamenti importanti, inoltre, si sono avuti nella manifattura e nella composizione del materiale di attrito tra le due componenti. Tra la parte femorale e quella tibiale si inserisce un cuscinetto di polietilene, che permette lo scivolamento delle superfici con minimo attrito e minima usura. Oggi si utilizzano speciali polietileni addittivati che hanno ridotto al minimo l’usura.
Gli strumentari dedicati
Gli strumentari hanno il compito di guidare la mano del chirurgo nell’impianto protesico. È possibile avere, su richiesta, l’impianto della protesi con uno strumentario specifico per il paziente. In questi casi le maschere di taglio vengono costruite in base ad un esame TC pre-op e sono specifiche per il paziente. Questo aumenta di molto l’accuratezza dei tagli e del posizionamento dell’impianto.
La realtà aumentata
Sempre su richiesta, è possibile richiedere l’impianto con l’ausilio della realtà aumentata. La tecnica della realtà aumentata consiste nell’utilizzare delle sonde impiantate nel femore e nella tibia che, collegate ad un software dedicato, guidano la mano del chirurgo nei tagli e nell’impianto della protesi.
Fase post-chirurgica
Il paziente torna in stanza con apposito bendaggio compressivo e con drenaggio articolare. Dal giorno successivo inizia la fase della riabilitazione con macchina Kinetec per mobilizzazione passiva del ginocchio. Il giorno successivo inizia la mobilizzazione attiva e la deambulazione con doppio bastone. Il pernottamento in clinica è di due/tre giorni per valutare l’andamento clinico ed il sanguinamento.
FAQ
Chi ha una protesi di ginocchio può prendere il sole?
L’intervento di protesi di ginocchio è un intervento che sottopone il ginocchio ed i tessuti molli adiacenti ad un elevato stress biologico. In generale, i tessuti sottoposti a stress rispondono con una reazione infiammatoria che ha il compito di favorire la guarigione ma, quando è troppo intensa, è può essere dolorosa.
Nelle iniziali fasi post-chirurgiche si può fare ricorso alla crio-terapia, per alleviare il dolore, applicando ghiaccio sui tessuti infiammati per migliorare le condizioni cliniche. In questa prima fase è assolutamente sconsigliato l’esposizione del ginocchio operato alla luce solare intensa e anche al calore.
Trascorsi i primi 4 mesi dalla fase infiammatoria, una breve esposizione al sole può essere permessa ma con specifiche attenzioni. E’ consigliabile in questa fase utilizzare una crema solare SF50 a schermo totale sulla cicatrice e coprire la ferita con una medicazione impermeabile ma traspirante. L’esposizione diretta della cicatrice al sole darebbe luogo ad una cicatrice ipertrofica ed iperpigmentata molto brutta dal punto di vista estetico e, a volte, dolorosa. Terminata la questa fase, dopo 6/8 mesi la cicatrice di solito più chiara dei tessuti circostanti deve comunque essere protetta dall’eccessiva esposizione solare.
Quale anestesia per le protesi di ginocchio?
L’anestesia è una componente importantissima per il comfort del paziente. Con l’evolversi delle tecniche anestesiologiche siamo passati dalle tecniche in generale dove si addormenta tutto il paziente fino a quelle loco-regionali dove si addormenta solo la parte da sottoporre ad intervento. L’anestesia generale, con i nuovi farmaci a disposizione e con bassissimi rischi per il paziente, è tutt’oggi molto utilizzata per la chirurgia addominale e toracica. In linea di massima in tutti gli interventi che hanno una lunga durata.
Per la chirurgia degli arti inferiori oggi viene utilizzata, quasi sempre la tecnica della iniezione di anestetico nello spazio subaracnoideo, detta anche “spinale”, che permette di anestetizzare completamente solo la parte inferiore del corpo. La perdita della sensibilità dolorosa è completa, rimane la sensibilità tattile che a volte può dare discomfort in pazienti molto ansiosi.
In generale, negli interventi di ortopedia la perdita della componente motoria è voluta e desiderata in quanto consente una migliore valutazione della tensione delle componenti capsulo-legamentose durante l’impianto delle componenti protesiche. La durata dell’anestesia completa va dalle due alle quattro ore, tuttavia la completa metabolizzazione dei farmaci può richiedere anche 8 ore.
Questa metodica anestesiologica deve essere considerata come prima scelta nell’impianto di protesi ortopediche agli arti inferiori e se ben condotta e seguita durante l’intervento gli effetti collaterali ed i rischi sono quasi nulli. In alcuni casi in pazienti ansiosi o scarsamente collaborativi si può associare una blanda sedazione che facilità la tollerabilità sia per il paziente che per il chirurgo.
Chi ha una protesi di ginocchio può prendere il sole?
L’intervento di protesi di ginocchio è un intervento molto praticato e standardizzato che,
comunque, sottopone il ginocchio ed i tessuti molli adiacenti ad un elevato stress biologico. In generale i tessuti umani sottoposti a stress rispondono con una reazione infiammatoria che ha il compito naturale di favorire la guarigione. Quando è troppo intensa è dolorosa.
Nelle fasi iniziali post-chirurgiche si utilizza la crio-terapia applicando ghiaccio sui tessuti infiammati per migliorare le condizioni cliniche. In questa prima fase è assolutamente sconsigliata l’esposizione del ginocchio operato alla luce solare intensa e anche al calore.
La fase infiammatoria acuta o subacuta dura di solito sei mesi e solo dopo i primi quattro mesi è consentita una breve esposizione al sole con specifiche attenzioni. È consigliabile in questa fase utilizzare una crema solare SF50 a schermo totale sulla cicatrice e coprire la ferita con una medicazione impermeabile e traspirante. L’esposizione diretta della cicatrice al sole può dare luogo ad una cicatrice ipertrofica ed iper pigmentata molto brutta dal punto di vista estetico e a volte dolorosa. Il ginocchio va comunque tenuto coperto con un asciugamano umido.
Dopo otto mesi circa la cicatrice appare di solito più chiara dei tessuti circostanti e va, comunque, protetta da un’eccessiva esposizione solare.
Come si deve dormire con una protesi al ginocchio?
L’intervento di protesi al ginocchio ha un importante impatto fisico e psicologico sul paziente. Per questo motivo disturbi del sonno possono apparire anche a sei mesi dall’operazione. Nei casi di insonnia agitata ci si può aiutare con farmaci che aiutano il sonno, per esempio la melatonina, o con tranquillanti naturali come le tisane calmanti alla camomilla. Solo nei casi più gravi si consiglia il ricorso a farmaci più potenti.
All’origine possono esserci anche motivi fisici che disturbano il riposo notturno. Il consiglio più semplice è quello di tenere una borsa del ghiaccio sul ginocchio per una quindicina di minuti prima di andare a letto. Oppure, assumendo antiinfiammatori o antidolorifici. Anche se spesso, dal secondo mese però non dovrebbe essere più necessario assumere questo tipo di farmaci.
Anche la posizione a letto può essere di grande aiuto nel lenire in fastidio notturno. La posizione ideale è quella supina. È consigliabile posizionare uno o due cuscini sotto l’arto operato in modo da tenerlo leggermente flesso ed elevato. Questa posizione aiuta il drenaggio dei liquidi infiammatori dai tessuti diminuendo di molto il dolore. Se non si riesce a tenere la posizione supina si può anche dormire sul lato sano inserendo un cuscino tra le gambe per evitare contatti diretti tra le due ginocchia. Dolori molto intensi richiedono un consulto con il chirurgo ortopedico.
Una sindrome che caratteristicamente provoca dolore notturno è la sindrome patellare. Fino a poco tempo fa non esistevano terapie specifiche per questo problema, oggi si possono fare terapie con infiltrazioni in ambulatorio che risolvono il problema nella gran parte dei casi.
Come salire e scendere le scale dopo l’intervento di protesi al ginocchio?
L’intervento di protesi di ginocchio ha l’obiettivo di ripristinare la mobilità e la stabilità articolare in assenza del dolore. Questo obiettivo è raggiunto nella maggior parte dei casi, ma è bene fare delle precisazioni. I risultati sono influenzati in maniera importante dalle condizioni locali e generali del paziente e dalla capacità di seguire i consigli del medico e del fisioterapista. Gà è stato sottolineato come una buona preparazione pre-operatoria, con perdita di peso, tonificazione muscolare e astinenza dal fumo di sigarette può migliorare di molto la riabilitazione post-operatoria.
La salita e la discesa delle scale richiede una notevole coordinazione muscolare ed una capacità muscolare adeguata al peso del paziente. Specialmente nei primi due mesi. Sarà il isioterapista a spiegare al paziente come affrontare le scale e quale arto utilizzare per primo, sia in discesa che in salita. In linea generale, nelle prime fasi si dovrà imprimere gran parte del carico sull’arto non operato e sulle braccia. In generale, si affronteranno le scale con maggiore scioltezza solo dopo 4/6 mesi. In base alle condizioni generali del paziente.
Quale anestesia per le protesi di ginocchio?
L’anestesia è una componente importantissima per il comfort del paziente e per la perfetta riuscita dell’intervento chirurgico. Con l’evolversi delle tecniche anestesiologiche si è passati dalle tecniche in cui si addormenta il paziente a quelle loco-regionali, in base alle quali si addormenta solo la parte da sottoporre ad intervento.
L’anestesia generale è ancora un pilastro della anestesiologia in quanto, con le nuove tecniche e con i nuovi farmaci a disposizione, è ancora utilissima e con bassissimi rischi per il paziente. Oggi viene ancora molto utilizzata per la chirurgia addominale e toracica e in linea di massima in tutti gli interventi che hanno una lunga durata. Per la chirurgia degli arti inferiori oggi viene utilizzata, nel 90% dei casi, la tecnica della iniezione di anestetico nello spazio subaracnoideo, detta anche “spinale”, la quale permette di anestetizzare solo la parte inferiore del corpo. La perdita della sensibilità dolorosa è completa, rimane la sensibilità tattile che a volte può dare discomfort in pazienti molto ansiosi. La componente motoria può essere interessata o meno a seconda del tipo e della quantità di farmaci iniettati.
In generale, negli interventi di ortopedia la perdita della componente motoria è voluta e desiderata in quanto consente una migliore valutazione della tensione delle componenti capsulo-legamentose durante l’impianto delle componenti protesiche. La durata dell’anestesia completa va dalle due alle quattro ore. Questa metodica anestesiologica deve essere considerata come prima scelta nell’impianto di protesi ortopediche agli arti inferiori che, se ben condotta , presenta rischi quasi nulli. In alcuni casi, in pazienti ansiosi o scarsamente collaborativi si può associare una blanda sedazione, che facilità la tollerabilità sia per il paziente che per il chirurgo.
Come prepararsi all’intervento di protesi al ginocchio?
La preparazione fisica comprende diversi punti.
Il primo punto è quello di normalizzare per quanto possibile il peso corporeo. L’eccesso ponderale ha influenze negative importanti sulla perfetta riuscita dell’intervento. Nel post
operatorio è più frequente avere stati infiammatori del ginocchio e della cicatrice chirurgica e la riabilitazione è difficile o ritardata. In pazienti obesi è molto più difficile raggiungere una adeguata mobilità articolare e una deambulazione fisiologica. A lungo termine il peso eccessivo causa una maggiore usura delle componenti protesiche riducendone notevolmente la durata. In generale i pazienti sovrappeso hanno molto più frequentemente dolore intermittente al ginocchio operato. Il raggiungimento del peso ottimale spesso non è facile per la vita sedentaria e la depressione dovuta al dolore costante.
Il secondo punto è quello di migliorare per quanto possibile il tono e l’elasticità muscolare. In molti pazienti il dolore limita la mobilità con successiva perdita significativa della massa muscolare. Esercizi dolci di tonificazione ma soprattutto di allungamento muscolare migliorano la qualità dei tessuti sui quali si va ad operare con una notevole facilitazione delle fasi successive riabilitative.
Il terzo punto: molto importante è identificare e curare infezioni in atto in altri siti anatomici.
Infiltrazioni urinarie, dentarie, polmonari ecc. devono essere identificate e curate prima di poter eseguire l’intervento protesico. La presenza di infezioni in altri siti aumenta notevolmente l’incidenza delle infezioni protesiche con conseguenze disastrose sulla funzionalità e durata della protesi.
Il terzo punto da considerare è l’astensione dal fumo di sigarette. E’ scientificamente provato che i pazienti fumatori hanno un rischio notevolmente aumentato di complicanze generali e
locali. I pazienti fumatori presentano spesso un ritardo nella guarigione della cicatrice protesica e un aumentato indice di mobilizzazione delle componenti protesiche.
Il quarto punto da considerare è la presenza di patologie croniche. La malattia che più aumenta il rischio nella chirurgia protesica è il diabete. La malattia diabetica deve essere inquadrata, curata e stabilizzata prima di procedere all’intervento.
Anche l’assunzione di alcuni farmaci deve essere valutata. I farmaci più importanti da sospendere almeno 7 giorni prima dell’intervento sono gli anti-aggreganti piastrini (e.g. Duoplavin). Sono farmaci che interferiscono con la coagulazione e possono essere pericolosi sia per l’anestesia che per l’intervento chirurgico.
Tra le patologie articolari più frequenti, al secondo posto dopo quelle che colpiscono il menisco, ci sono quelle degenerative con lesioni alla cartilagine articolare.
Le lesioni cartilaginee possono essere localizzate, si parla allora condropatie di varia gravità ed estensione, oppure la degenerazione può interessare tutta l’articolazione caratterizzando le varie fasi dell’artrosi.
Ma quali sono le patologie degenerative che più frequentemente è necessario trattare? Sono quelle che colpiscono ginocchio e anca. Anche se, ad essere interessate, possono essere tutte le articolazioni.
Qual è il meccanismo di lesione
La cartilagine articolare ricopre tutti i capi articolari e deve assicurare un’altissima resistenza meccanica ed una resistenza all’attrito bassa. Tra le caratteristiche di questo tessuto c’è il metabolismo molto basso e l’assenza di vasi sanguigni. È questa la ragione per la quale la cartilagine non guarisce spontaneamente in seguito a una lesione.
Le lesioni cartilaginee possono essere primarie o idiopatiche legate ad una scarsa resistenza intrinseca oppure, possono essere secondarie a trauma o sovraccarico funzionale.
Per molto tempo il dolore per la lesione è stato trattato con anti-infiammatori e gli anti-dolorifici. Un importante passo avanti è stato compiuto negli ultimi venti anni utilizzando acidi ialuronici di vario peso e complessità. Un ulteriore passo avanti si è fatto con l’ingresso nella gamma dei trattamenti dei fattori di crescita piastrinici. Dal sangue omologo del paziente, tramite un comune prelievo ematico, è possibile isolare la componente plasmatica ricca di piastrine che contengono al loro interno numerosi fattori di crescita. I fattori di crescita piastrinici sono in grado di attivare le cellule accelerando la guarigione tissutale e stimolano la crescita dei vasi che facilitano l’afflusso sanguigno e quindi la guarigione.
La tecnica chirurgica prevede nel 90% dei casi una artroscopia diagnostica e chirurgica preliminare. In artroscopia si conferma visivamente la diagnosi di condromalacia e si passa allo studio della lesione in base all’ubicazione, allo stadio ed alla sua estensione.
La fase chirurgica consiste in una condroplastica, cioè nella rimozione della cartilagine necrotica e nella smussamento e regolarizzazione dei margini della lesione. Ovviamente in questa fase si trattano anche eventuali lesioni associate come per esempio una lesione meniscale.
La fase successiva è il prelievo delle cellule staminali. Il prelievo da tessuto adiposo avviene attraverso una micro incisione nell’ombelico. Il prelievo, in particolari casi, può essere effettuato anche sui fianchi o dall’interno cosce. Il tessuto adiposo viene prelevato con particolari cannule, simili a quelle della liposuzione, in maniera atraumatica.
Il tessuto viene lavato abbondantemente e frazionato, poi si separa la parte fibrosa dalla parte cellulare. Le cellule vengono poi attivate con stress meccanici. Il preparato viene quindi iniettato in articolazione.
Il prelievo dal midollo osseo avviene in maniera differente
Si utilizza una cannula tagliente di circa 4 mm di diametro che viene infissa di solito subito al di sotto del ginocchio e poi con un kit apposito si crea una depressione che aspira il midollo osseo. Il prelievo viene, quindi, centrifugato e poi le cellule vengono separate dal restante con sistemi elettro-meccanici. La porzione cellulare concentrata viene iniettata in articolazione. Suturati i tramiti artroscopici si procede al bendaggio compressivo post-operatorio.
Fase post-operatoria e riabilitazione
Il paziente solitamente viene dimesso il giorno seguente l’intervento, con la fasciatura sia in sede del prelievo sia all’articolazione trattata. Egli per tre settimane deve deambulare con doppio bastone e carico sfiorante sull’arto operato. La prima medicazione avviene la settimana seguente e la rimozione dei punti di sutura dopo 14 giorni. Il carico viene concesso progressivamente e la deambulazione e buona dopo 40 giorni. In alcuni casi sono necessarie alcune sedute di fisioterapia per riacquistare completamente la mobilità articolare ed il tono muscolare.
Uno dei legamenti più importanti e più studiati del ginocchio è il legamento crociato anteriore. Innanzitutto, per la sua funzione di stabilizzatore primario passivo del ginocchio. Ed anche perché è il legamento che più frequentemente è soggetto a rottura traumatica.
L’articolazione del ginocchio
L’articolazione del ginocchio è complessa dal punto di vista anatomico e, allo stesso tempo, fondamentale per assicurare una buona mobilità con una ottima stabilità. La stabilità è indispensabile per assicurare un punto fermo sul quale scaricare il peso del corpo al suolo. La forma del L.C.A. gli permette di funzionare assicurando appunto mobilità e stabilità.
La funzione principale del legamento crociato anteriore
La funzione principale del legamento crociato anteriore è quella di opporsi agli slittamenti anteriori della tibia sul femore. Altre funzioni sono quelle di opporsi alla iperestensione del ginocchio (varo – valgo) ed alle forze che agiscono da dentro e fuori la tibia rispetto al femore. Il legamento crociato anteriore è composto da due fasci ed è posizionato tra il femore e la tibia. La sua è una vascolarizzazione di tipo terminale, difatti se si rompe il vaso afferente non vi sono vie alternative che consentono la vascolarizzazione. Ecco perché, in caso di rottura, non vi sono probabilità che possa guarire da solo, ma va sostituito interamente.
I traumi distorsivi
Il meccanismo classico che porta ad una lesione è un trauma distorsivo del ginocchio, con il ginocchio in semi flessione. Questo accade frequentemente durante una attività sportiva o ricreativa, così come durante un cambio di direzione nella corsa o in seguito a un atterraggio da un salto o in un contatto con il terreno di gioco. A volte il trauma è la conseguenza di una torsione del corpo con il piede fisso al terreno.
La sintomatologia
La sintomatologia, nel caso di una lesione isolata, appare nell’immediato abbastanza lieve. Il soggetto riprende a camminare e solo il giorno seguente si ritrova con il ginocchio gonfio di sangue (emartro) e impossibilitato a camminare. In caso di trauma serio, laddove vi sono lesioni associate, la sintomatologia può essere imponente con l’impossibilità di appoggiare il piede al suolo per il troppo dolore.
Il trattamento della lesione
Il trattamento è quasi sempre chirurgico. Solo in pazienti ultrasessantenni in particolari condizioni è consigliabile il trattamento conservativo, in tutti gli altri casi è indispensabile la ricostruzione chirurgica. Il trattamento è in artroscopia, per il basso impatto chirurgico e per la maggiore velocità della ripresa delle attività lavorative e ricreative. Oggi le tecniche di ricostruzione sono abbastanza standardizzate. Le differenze sono relative a quale tessuto utilizzare per la sostituzione e quale metodo utilizzare per la fissazione del neo-legamento all’osso. I tendini autologhi più utilizzati sono il semitendinoso e gracile oppure il tendine rotuleo.
I diversi metodi di intervento
L’utilizzo del gracile e semitendinoso permette una riabilitazione facilitata. Negli ultimi anni la tecnologia ci ha messo a disposizione anche la possibilità di usare allograft da cadavere o anche tessuto eterologo da suino. I risultati sono incoraggianti, mancano ancora però statistiche sugli esiti nel lungo periodo. Esistono anche tendini sintetici che vengono spesso usati come augmentation, cioè rinforzo di un trapianto che si teme non sia abbastanza resistente.
I sistemi di fissazione all’osso più utilizzati sono “a sospensione” oppure “ad interferenza”. Il sistema a sospensione si fissa all’osso e poi il neo-legamento è fissato al sistema con fettucce in dacron molto resistenti.
Il sistema ad interferenza blocca il neo-legamento con dei chiodi o pins trasversali che ne aumentano il volume e lo bloccano nel tunnel osseo. A livello tibiale il sistema più utilizzato è quello della vite ad interferenza che schiaccia e blocca il neo-legamento sulla parete del tunnel tibiale.
C’è poi un metodo ibrido che in letteratura garantisce i migliori risultati, con utilizzo per il femore del sistema a sospensione e sulla parte tibiale del sistema ad interferenza con le viti.
In pazienti che necessitano di una ripresa più veloce si associa nei tunnel ed in articolazione l’utilizzo di fattori di crescita piastrinici (PRP/PGF) che accelerano l’incorporazione del neo-legamento all’osso e ne facilitano la maturazione biologica.
Riabilitazione
Il paziente lascia la sala operatoria con un drenaggio articolare e con una ginocchiera che limita i movimenti ai massimi gradi di flessione ed estensione che sono quelli pericolosi per il neo-legamento. La ginocchiera verrà poi regolata progressivamente durante le visite di controllo in base alle condizioni cliniche.
Dopo 48 ore, si rimuove il drenaggio e si inizia la fase riabilitativa. Dopo ulteriori 48 ore il paziente può andare a casa deambulando con doppio bastone ed appoggio sfiorante. La prima fase della riabilitazione è dedicata alla ripresa della mobilità e motilità articolare con esercizi passivi ed attivi sotto attento controllo di un riabilitatore.
La ripresa può essere facilitata ed accelerata utilizzando un Kinetec, cioè una macchina per la mobilizzazione passiva continua. Per i primi due mesi e mezzo verranno eseguiti esercizi per il rinforzo muscolare, soprattutto dei flessori del ginocchio, evitando alcuni esercizi del tipo leg extension con pesi, che mettono in eccessiva tensione il neo-legamento e possono romperlo.
Solitamente la deambulazione torna normale dopo 45 giorni, per cui è possibile la ripresa della attività lavorative. Mentre per l’attività sportiva bisogna attendere 6/9 mesi.
Uno dei legamenti più resistenti del ginocchio è il legamento crociato posteriore. Esso è uno stabilizzatore primario che limita lo slittamento del piatto tibiale posteriormente rispetto ai condili femorali. La sua funzione secondaria è quella di limitare l’eccessiva rotazione esterna del ginocchio.
La complessa forma tridimensionale è indispensabile per attuare la sua funzione lungo tutto l’arco di movimento del ginocchio ed è in perfetta sinergia funzionale con il legamento crociato anteriore.
Il meccanismo di lesione
Il meccanismo di lesione è sempre la conseguenza di un trauma significativo. Il meccanismo classico è quello della lesione da cruscotto, con la parte superiore della tibia che urta violentemente il cruscotto dell’auto durante in incidente automobilistico.
Frequenti sono anche i traumi che avvengono durante attività sportive di contatto, come nel rugby o nel football americano o, anche, durante una partita di calcio. Le parole lesione e rottura sono da considerarsi, in questi casi, sinonimi.
La sintomatologia
La sintomatologia dipende dalla tipologia della lesione. Se si tratta di una lesione isolata o se vi sono lesioni associate. Nelle lesioni isolate spesso la sintomatologia consiste nella sola sensazione di instabilità del ginocchio in alcuni movimenti e il dolore si attiva dopo un’attività sportiva o una prolungata stazione eretta. Se vi sono lesioni associate la sintomatologia è maggiore e dipende in gran parte appunto dalle lesioni associate presenti. In generale tutte le lesioni associate aumentano la sensazione di instabilità ed il dolore.
La diagnosi viene fatta con una visita accurata che verificherà lo scivolamento posteriore della tibia rispetto al femore, confermato da una radiografia ed una risonanza magnetica. La risonanza in generale va fatta dopo una settimana dalla lesione e assicura una accuratezza diagnostica vicina al 100%.
Il trattamento
Il trattamento può essere sia conservativo che chirurgico. Nei pazienti sedentari con scarse richieste funzionali o, comunque asintomatici, il trattamento consiste in una intensa rieducazione muscolare e nella scelta di attività sportive meno traumatiche per l’articolazione.
In pazienti sintomatici l’indicazione è chirurgica. L’intervento viene eseguito con tecnica open o artroscopica. Oggi si preferisce la tecnica artroscopica, che permette la ricostruzione con minima invasività e maggiore precisione nel posizionamento del neo-legamento. In generale si preferisce sostituire il legamento rotto con i tendini semitendinoso/gracile, autologhi, ripiegati ad ansa e fissati al femore con viti ad interferenza metalliche o in materiale a lento riassorbimento. Nei casi più complessi con lesioni associate si può ricorrere a trapianto da cadavere o eterologo (suino) per limitare l’impatto chirurgico. Sono disponibili anche tendini sintetici che offrono una buona soluzione clinica.
La riabilitazione
La riabilitazione è fondamentale per la buona riuscita dell’intervento. Il paziente esce dalla camera operatoria con un apposito tutore dotato di cuscinetti di spinta, la regolazione del tutore e il suo corretto posizionamento sono molto importanti, soprattutto nelle prime fasi. Il drenaggio articolare viene rimosso dopo 48 ore dall’intervento e da quel momento comincia la riabilitazione.
La ripresa della mobilità articolare
La mobilizzazione deve essere continua e non forzata e il dolore deve essere tenuto sotto controllo per evitare contratture che ritardano la ripresa. Può essere utilizzato anche un Kinetec (sistema di mobilizzazione continua passivo) che aiuta molto la mobilizzazione in assenza di dolore.
Successivamente l’attenzione si sposta verso la tonificazione muscolare e sulla ripresa della deambulazione. I tempi sono molto variabili in base alle condizioni articolari, alla situazione biologica e al carattere del paziente. In generale, il paziente riacquista la stazione eretta dopo 2/3 giorni e deambula con doppio bastone e carico sfiorante. Per tornare alla deambulazione normale ci vogliono circa 45 giorni. Per la ripresa dell’attività sportiva si possono impiegare anche sei mesi.
L’articolazione del ginocchio è molto complessa sia dal punto di vista anatomico che da quello funzionale. Si tratta, infatti, di un’articolazione sottoposta a carico continuo durante la deambulazione. I menischi articolari, mediale e laterale, visti dall’alto, hanno una forma in sezione triangolare e a semiluna. Essi si muovono continuamente durante la deambulazione e la corsa e sono sottoposti a carchi notevoli, per cui sono spesso soggetti a rottura.
Qual è il meccanismo di lesione del menisco
Le lesioni meniscali possono essere “acute”, quando sono la conseguenza di traumi e distorsioni, oppure “degenerative”, provocate da ripetuti microtraumi che hanno danneggiato il tessuto meniscale diminuendone progressivamente la resistenza meccanica.
Sintomatologia
La sintomatologia comune è sicuramente il dolore che aumenta al caricare del ginocchio e che può portare all’impossibilità di flettere ed estendere completamente il ginocchio. Un tipo di lesione meniscale molto particolare è quello dovuto ad una lesione meniscale cosiddetto a “manico di secchio”. Il ginocchio rimane bloccato in posizione semiflessa ed è impossibile l’estensione completa, mentre la flessione è sempre possibile anche se dolorosa. Il blocco in questo caso è meccanico, poiché è il menisco che si interpone tra il piatto tibiale ed il condilo. Talvolta, le lesioni meniscali si associano ad un versamento articolare reattivo che limita ulteriormente la mobilità articolare.
Trattamento della lesione del menisco
Il trattamento della lesione del menisco è nel 90% dei casi chirurgico. Sono rarissime le lesioni meniscali che guariscono da sole o con il riposo o con il trattamento fisioterapico. Il trattamento consolidato è quello artroscopico, senza aprire l’articolazione. L’artroscopia ha rivoluzionato il trattamento delle lesioni meniscali diminuendo drasticamente lo stress chirurgico e migliorando sensibilmente i risultati clinici, a breve e a media distanza.
Il trattamento più diffuso è la “plastica meniscale”. In questi casi si utilizzano particolari macchinari che consentono di rimuovere la parte del menisco rotta e non più recuperabile, e di modellare un menisco di minori dimensioni, simile al primo come forma ed con una funzione paragonabile al menisco normale.
In alcuni casi, per esempio in pazienti giovanissimi oppure in atleti professionisti, se la lesione avviene alla periferia del menisco si può effettuare una sutura meniscale, salvando gran parte del tessuto meniscale. Le suture meniscali hanno come contraltare una riabilitazione lunga e complessa e una percentuale di recidiva, ri-rottura del menisco, alta.
I risultati clinici a breve e media distanza di tempo sono comunque molto buoni. Ma un problema molto frequente, che peggiora l’outcame di queste lesioni, sono le lesioni associate cartilaginee. Le lesioni meniscali provocano una alterazione della normale biomeccanica articolare causando spesso lesioni cartilaginee nel compartimento danneggiato. Ciò avviene, soprattutto, se la lesione non viene trattata precocemente, quando il paziente per problemi personali rimanda troppo l’intervento.
Fino a qualche anno fa queste lesioni erano praticamente intrattabili, oggi grazie a una maggiore conoscenza del trattamento con fattori di crescita piastrinici (PGF/PRP) o con l’ausilio delle cellule staminali o mesenchimali si riesce a trattare con successo anche questo tipo di lesioni.
Riabilitazione, cosa aspetta i pazienti
Il paziente lascia la sala operatoria con un bendaggio compressivo e, in alcuni casi, anche con un drenaggio articolare. Drenaggio che generalmente viene rimosso la mattina successiva all’intervento. Se la lesione è isolata, il paziente la mattina successiva viene dimesso deambulante con ausilio di doppio bastone e carico parziale.
Il paziente può deambulare in casa, ma viene comunque consigliato un periodo di riposo per almeno una settimana. La ripresa della deambulazione corretta e del tono muscolare possono necessitare di una decina di sedute di fisioterapia specifica.