L’attività fisica regolare è fondamentale per mantenere una buona salute fisica e mentale. Tuttavia, con la pratica sportiva arriva anche il rischio di infortuni, che possono variare da lievi distorsioni a gravi fratture. Prevenire questi infortuni non solo preserva il benessere fisico, ma riduce anche il rischio di complicazioni a lungo termine. Una corretta diagnosi ortopedica è cruciale per identificare tempestivamente i problemi e gestirli in modo efficace.
I Tipi di infortuni sportivi più comuni
Tipi di infortuni sportivi
Gli infortuni sportivi possono includere una varietà di condizioni, tra cui distorsioni articolari con lesioni capsulo-legamentose, lesioni muscolari che possono variare da semplici contratture fino ad una lesione completa, lesioni tendinee e fratture ossee di vario tipo e gravità. Tutte queste lesioni possono variare enormemente in gravità e richiedono differenti approcci terapeutici.
Sport a Rischio
Tutte le attività sportive, soprattutto se praticati ad alto livello ed in maniera agonistica possono provocare problemi osteo-muscolari, sia di tipo traumatico sia da sovraccarico. Ogni sport ha un proprio gesto atletico che può portare a lesioni specifiche per quello sport. Alcuni sport, inoltre, sono più soggetti a determinati tipi di infortuni, gli sport di contatto per esempio a lesioni traumatiche, gli sport ripetitivi a lesioni croniche da overuse. Ad esempio, le distorsioni con lesioni capsulo-legmentose del ginocchio sono comuni nel calcio, al contrario nel tennis sono molto comuni le lesioni tendinee. La conoscenza dei rischi specifici associati allo sport praticato può aiutare a prevenire le lesioni e migliorare il trattamento con un ritorno precoce alla attività sportiva.
L’importanza della prevenzione
Prevenzione attraverso il riscaldamento e l’allenamento
Una buona prevenzione degli infortuni inizia con un corretto piano di allenamento mirato a rinforzare tutti i muscoli coinvolti nel gesto atletico. È necessario sottolineare che rinforzare tutti i muscoli intorno ad una articolazione previene anche l’insorgenza di danni capsulo-legamentosi in quanto i muscoli concorrono in maniera significativa alla stabilizzazione articolare. Anche nei gesti atletici ripetitivi una buona tonificazione muscolare concorre a prevenire i danni muscolari e tendinei da sovraccarico. Prima della prestazione atletica un buon riscaldamento e stretching muscolare riducono la tensione muscolare e migliorano la flessibilità, diminuendo il rischio di lesioni.
Attrezzatura e tecniche corrette
L’uso di attrezzature sportive adeguate e l’applicazione di tecniche corrette durante la pratica sportiva sono fondamentali per evitare lesioni. Un’adeguata protezione e un corretto approccio tecnico possono fare la differenza tra una sessione di allenamento sicura e un infortunio grave.
Il Ruolo dell’Ortopedico nella diagnosi e trattamento
L’ortopedico gioca un ruolo chiave nella prevenzione e nella gestione degli infortuni sportivi. Con competenze specifiche, un ortopedico può valutare la gravità dell’infortunio e determinare il trattamento più appropriato. Il trattamento negli sportivi deve infatti essere mirato in rapporto a molte variabili, come il tipo e entità della lesione, al tipo di sport praticato, all’età dell’atleta ed alla conformazione fisica dello sportivo. Anche le tempistiche di trattamento possono essere diverse rispetto alla stessa lesione in paziente non sportivo. La riabilitazione nello sportivo è diversa e spesso può essere più aggressiva e precoce.
Importanza della diagnosi precoce
Una diagnosi precoce degli infortuni è essenziale per evitare complicazioni a lungo termine. Un’adeguata valutazione ortopedica consente di intervenire tempestivamente, migliorando le possibilità di un recupero completo.
Come il Dr. Giuseppe Monteleone può aiutare
I Servizi del Dr. Giuseppe Monteleone
Il Dr. Giuseppe Monteleone è specializzato in ortopedia e traumatologia, offrendo trattamenti personalizzati per prevenire e trattare gli infortuni sportivi. La sua esperienza garantisce una gestione professionale e attenta ad ogni dettaglio. Il dott. Monteleone inoltre è un punto di riferimento nazionale nel trattamento delle lesioni capsulo-legamentose e tendinee con tecniche innovative, mini invasive, con fattori di crescita e con utilizzo mirato di cellule staminali autologhe. Se sei uno sportivo e vuoi prevenire infortuni o hai subito un trauma, non aspettare che la situazione peggiori. Prenota una visita con il Dr. Giuseppe Monteleone per una diagnosi accurata e un trattamento su misura.
Le fratture del piatto tibiali sono fratture che coinvolgono la parte prossimale della tibia e la
superficie articolare del ginocchio. Sono fratture ad alta energia che interessano anche la
superficie articolare per cui molto complesse da trattare ed altamente invalidanti. Spesso si
associano anche complesse lesioni capsulo-legamentose che complicano ulteriormente il
trattamento.
Come avviene frequentemente in traumatologia esiste tutto uno spettro di lesioni del piatto tibiale, si va da quelle più semplici e composte a veri e propri sfaceli con lesioni pluriframmentarie, quasi
impossibili da trattare, e con risultati clinici e funzionali decisamente insoddisfacenti anche con un
trattamento chirurgico.
Meccanismo di lesione
Il meccanismo di lesione più frequente è il trauma da strada. In particolare, il trauma tipico è
quello di incidente in moto o motorino in cui il ginocchio viene colpito da un altro mezzo oppure la
moto, cadendo, schiaccia il ginocchio sull’asfalto. Anche il trauma diretto di una macchina contro un pedone è frequente, in questi casi se il trauma è laterale spesso si associano lesioni legamentose
importanti.
Altro meccanismo di lesione frequente è il trauma contusivo-distorsivo durante uno
sport di contatto ad alta energia. Tipiche sono le lesioni durante partite di rugby o di football
americano o anche di calcio e calcetto. Questo tipo di lesioni avvengono anche nel ciclismo e nello
sci alpino.
Sintomi
I sintomi più comuni di una frattura del piatto tibiale includono:
Forte dolore con il carico o con la semplice mobilizzazione dell’arto inferiore.
Il ginocchio tende a gonfiarsi velocemente per il versamento ematico imponente che si forma in articolazione
Deformità: il ginocchio può sembrare “fuori posto” e la gamba può apparire più corta e storta.
In caso di lesioni associate capsulo-legamentose, si assiste alla comparsa di vasti ematomi intorno al ginocchio.
Anche la cute soffre tantissimo in caso di trauma diretto in quanto viene schiacciata se non, addirittura, lacerata dalla compressione tra l’osso e la superficie dura contro cui si va sbattere. Ovviamente la deambulazione è impossibile.
Le lesioni legamentose che più spesso si associano sono la lesione del legamento collaterale mediale, del legamento collaterale laterale e del legamento crociato anteriore.
Nei casi più gravi si associano anche lesioni dei vasi e dei nervi che rendono il trattamento urgente e
molto complesso.
Diagnostica
La prima valutazione deve essere sempre clinica per valutare l’entità della lesione, la presenza di
eventuali lesioni associate ed escludere lesioni nervose e vascolari. La successiva valutazione viene fatta, spesso già in pronto soccorso, con un esame RX nelle proiezioni classiche in antero-posteriore e in laterale.
La radiografia consente una valutazione abbastanza precisa del sito e della estensione delle lesioni. In alcuni casi è possibile anche riconoscere segni indiretti di lesioni capsulo-legamentose.
Oggi è sempre più frequente associare anche una valutazione TC, spesso con ricostruzioni
tridimensionali, che permette una migliore caratterizzazione della frattura e quindi una più facile
pianificazione del trattamento, sia esso conservativo che chirurgico.
Il trattamento conservativo in apparecchio gessato o con ginocchiera è ormai riservato a pochissimi
casi in cui la frattura è parziale o del tutto composta. Uno spazio anche se abbastanza ristretto esiste anche per una riduzione indiretta sotto controllo artroscopico ed una sintei percutanea con viti.
Il tipo di trattamento più frequente è quello chirurgico con una riduzione cruenta a cielo aperto ed
una sintesi interna con placca e viti.
In alcuni casi più complessi sono necessarie anche due o tre placche e viti libere in aggiunta a quelle delle placche. Talvolta è necessario utilizzare osso autologo o sintetico per riempire eventuali deficit ossei legati all’elevata energia del trauma.
In alcuni casi, purtroppo, non è possibile la ricostruzione del piano articolare, che serve solo per creare una buona base ossea su cui successivamente impiantare una protesi articolare.
La fase post-operatoria
Il paziente torna in camera con un drenaggio articolare ed un’immobilizzazione in doccia gessata o
ginocchiera articolata. Molto utile nelle prime fasi utilizzare un Kinetec per la mobilizzazione passiva continua. Il carico viene concesso in base al tipo di frattura ed ai controlli radiografici successivi e può variare da un mese a tre mesi.
L’articolazione femoro-rotulea può andare incontro a degenerazione e provocare dolore. Ciò accade in presenza di un sovraccarico meccanico, durante lavori o sport che si svolgono con il ginocchio flesso, in presenza di alterazioni anatomiche dell’apparato estensore o di alterata conformazione anatomica della rotula, della troclea oppure del tendine rotuleo. Il dolore è quasi sempre riferito alla parte anteriore del ginocchio.
Rotula, cos’è
La rotula unisce il tendine quadricipitale al tendine rotuleo. È un osso sesamoide, cioè di forma simile al seme del sesamo, che fa parte integrante del sistema estensore del ginocchio. La sua funzione principale è quella di centrare le forze estensorie sulla troclea femorale. La rotula è rivestita posteriormente di cartilagine. Dal punto di vista biomeccanico è un osso sottoposto a forze in compressione e forze tangenziali elevate.
Meccanismo di lesione della rotula
La faccia posteriore della rotula è divisa in due faccette articolari ed è rivestita di cartilagine. Essa scorre nella troclea femorale ad ogni flesso estensione del ginocchio. L’articolazione femoro-rotulea, come tutte le altre articolazioni, può andare incontro a degenerazione. Le cause più frequenti di degenerazione della femoro rotulea sono:
Sovraccarico meccanico dovuto ad un eccesso ponderale in pazienti sovrappeso
Lavori o sport che si svolgono con il ginocchio flesso
Alterazioni anatomiche dell’apparato estensore che portano ad un sovraccarico su una delle due faccette articolari
Alterata conformazione anatomica della rotula, della troclea oppure del tendine rotuleo
Diagnosi
La diagnosi viene fatta con una prima valutazione clinica e la storia del paziente assume notevole rilevanza nella diagnosi. Il problema di una alterazione anatomica o di un cattivo allineamento del sistema estensore è molto frequente in giovani donne. Un problema di sovraccarico funzionale è più frequente in maggiore età. Il segno più frequente è lo scroscio articolare che si apprezza in flesso-estensione con la mano sulla rotula. Frequente è anche la produzione di rumori quando ci si alza dalla sedia. La diagnosi radiologica avviene praticando un esame radiografico del ginocchio completo e con le proiezioni assiali. Ulteriori informazioni si ottengono con una TC o RM nei tagli assiali.
Trattamento del dolore alla rotula
Nei casi lievi il trattamento può essere anche solo fisiochinesiterapico, che si esegue rinforzando alcuni muscoli stabilizzatori della rotula ed indossando una ginocchiera apposita. Anche alcune infiltrazioni articolari di acido ialuronico possono essere di aiuto.
Nei casi più gravi si ricorre alla chirurgia. Il primo passo è una artroscopia che serve a confermare la diagnosi e, sempre in artroscopia, si possono praticare lisi (scivolamenti) di alcuni legamenti che aiutano a centrare la rotula sulla troclea. Se tutto ciò non fosse sufficiente si ricorre a trasposizione della tuberosità tibiale anteriore per riallineare l’apparato estensore.
Fase post-chirurgica
Il paziente torna in stanza con apposito bendaggio compressivo e con drenaggio articolare. Nel caso di intervento sulla tuberosità tibiale anteriore, anche con ginocchiera rigida in estensione. In entrambi i casi il pernottamento in clinica è di uno/due giorni per valutare l’andamento ed il sanguinamento. E’ consigliata la deambulazione con doppio bastone e carico sfiorante nel post-operatorio.
Per protesi del ginocchio si intende la sostituzione di una parte o di tutta l’articolazione del ginocchio. I motivi possono essere diversi. Spesso, per una grave degenerazione artrosica l’articolazione del ginocchio è completamente distrutta, e il paziente non è più in grado di affrontare la vita di tutti i giorni in completa autonomia. In questi casi si deve ricorrere alla sostituzione dell’intera articolazione con una articolazione artificiale.
Nella prima foto si vede una radiografia di un ginocchio normale dove è presente, tra i capi articolari, un rivestimento di cartilagine (nero in radiografia) che permette lo scivolamento tra loro con basso attrito e senza dolore.
Nella seconda radiografia vediamo un ginocchio valgo-artrosico, si vede come il compartimento esterno è completamente usurato ed i capi ossei sono a diretto contatto tra loro.
Interventi in base al quadro clincio
Quando il compartimento esterno è completamente usurato e i capi ossei sono a diretto contatto tra loro lo scivolamento diretto osso su osso è molto doloroso. L’asse meccanico di tutto l’arto inferiore, inoltre, appare deviato (ginocchio valgo-artrosico).
Quando ad essere interessata è solo una parte del ginocchio (un compartimento), si ricorre ad una protesi monocompartimentale.
Quando tutta l’articolazione è danneggiata si ricorre ad una protesi totale o tricompartimentale.
Diversi tipi di protesi
La protesi monocompartimentale è certamente meno aggressiva chirurgicamente e permette una riabilitazione facilitata. Per poter utilizzare una protesi monocompartimentale tutti gli altri compartimenti del ginocchio devono essere indenni ma questo, purtroppo, capita raramente.
Fino ad una ventina di anni fa l’intervento di protesi totale era considerato tra i più impegnativi della chirurgia ortopedica, oggi i grandi progressi della tecnica chirurgica e delle protesi hanno diminuito di molto il trauma per il paziente, consentendo riprese funzionali veloci e pressoché complete nella maggior parte dei casi.
Design protesico
Il design protesico si è evoluto moltissimo, con disegni geometrici delle componenti sempre più compatibili e con un funzionamento meccanico della articolazione molto simile a quello nativo. Il materiale protesico più utilizzato è il cromo-cobalto, al contrario delle protesi di anca che sono in maggior parte in lega di titanio. La scelta del cromo-cobalto è legata alla resistenza ed alla elasticità necessarie nelle protesi di ginocchio.
Avanzamenti importanti, inoltre, si sono avuti nella manifattura e nella composizione del materiale di attrito tra le due componenti. Tra la parte femorale e quella tibiale si inserisce un cuscinetto di polietilene, che permette lo scivolamento delle superfici con minimo attrito e minima usura. Oggi si utilizzano speciali polietileni addittivati che hanno ridotto al minimo l’usura.
Gli strumentari dedicati
Gli strumentari hanno il compito di guidare la mano del chirurgo nell’impianto protesico. È possibile avere, su richiesta, l’impianto della protesi con uno strumentario specifico per il paziente. In questi casi le maschere di taglio vengono costruite in base ad un esame TC pre-op e sono specifiche per il paziente. Questo aumenta di molto l’accuratezza dei tagli e del posizionamento dell’impianto.
La realtà aumentata
Sempre su richiesta, è possibile richiedere l’impianto con l’ausilio della realtà aumentata. La tecnica della realtà aumentata consiste nell’utilizzare delle sonde impiantate nel femore e nella tibia che, collegate ad un software dedicato, guidano la mano del chirurgo nei tagli e nell’impianto della protesi.
Fase post-chirurgica
Il paziente torna in stanza con apposito bendaggio compressivo e con drenaggio articolare. Dal giorno successivo inizia la fase della riabilitazione con macchina Kinetec per mobilizzazione passiva del ginocchio. Il giorno successivo inizia la mobilizzazione attiva e la deambulazione con doppio bastone. Il pernottamento in clinica è di due/tre giorni per valutare l’andamento clinico ed il sanguinamento.
FAQ
Chi ha una protesi di ginocchio può prendere il sole?
L’intervento di protesi di ginocchio è un intervento che sottopone il ginocchio ed i tessuti molli adiacenti ad un elevato stress biologico. In generale, i tessuti sottoposti a stress rispondono con una reazione infiammatoria che ha il compito di favorire la guarigione ma, quando è troppo intensa, è può essere dolorosa.
Nelle iniziali fasi post-chirurgiche si può fare ricorso alla crio-terapia, per alleviare il dolore, applicando ghiaccio sui tessuti infiammati per migliorare le condizioni cliniche. In questa prima fase è assolutamente sconsigliato l’esposizione del ginocchio operato alla luce solare intensa e anche al calore.
Trascorsi i primi 4 mesi dalla fase infiammatoria, una breve esposizione al sole può essere permessa ma con specifiche attenzioni. E’ consigliabile in questa fase utilizzare una crema solare SF50 a schermo totale sulla cicatrice e coprire la ferita con una medicazione impermeabile ma traspirante. L’esposizione diretta della cicatrice al sole darebbe luogo ad una cicatrice ipertrofica ed iperpigmentata molto brutta dal punto di vista estetico e, a volte, dolorosa. Terminata la questa fase, dopo 6/8 mesi la cicatrice di solito più chiara dei tessuti circostanti deve comunque essere protetta dall’eccessiva esposizione solare.
Quale anestesia per le protesi di ginocchio?
L’anestesia è una componente importantissima per il comfort del paziente. Con l’evolversi delle tecniche anestesiologiche siamo passati dalle tecniche in generale dove si addormenta tutto il paziente fino a quelle loco-regionali dove si addormenta solo la parte da sottoporre ad intervento. L’anestesia generale, con i nuovi farmaci a disposizione e con bassissimi rischi per il paziente, è tutt’oggi molto utilizzata per la chirurgia addominale e toracica. In linea di massima in tutti gli interventi che hanno una lunga durata.
Per la chirurgia degli arti inferiori oggi viene utilizzata, quasi sempre la tecnica della iniezione di anestetico nello spazio subaracnoideo, detta anche “spinale”, che permette di anestetizzare completamente solo la parte inferiore del corpo. La perdita della sensibilità dolorosa è completa, rimane la sensibilità tattile che a volte può dare discomfort in pazienti molto ansiosi.
In generale, negli interventi di ortopedia la perdita della componente motoria è voluta e desiderata in quanto consente una migliore valutazione della tensione delle componenti capsulo-legamentose durante l’impianto delle componenti protesiche. La durata dell’anestesia completa va dalle due alle quattro ore, tuttavia la completa metabolizzazione dei farmaci può richiedere anche 8 ore.
Questa metodica anestesiologica deve essere considerata come prima scelta nell’impianto di protesi ortopediche agli arti inferiori e se ben condotta e seguita durante l’intervento gli effetti collaterali ed i rischi sono quasi nulli. In alcuni casi in pazienti ansiosi o scarsamente collaborativi si può associare una blanda sedazione che facilità la tollerabilità sia per il paziente che per il chirurgo.
Chi ha una protesi di ginocchio può prendere il sole?
L’intervento di protesi di ginocchio è un intervento molto praticato e standardizzato che,
comunque, sottopone il ginocchio ed i tessuti molli adiacenti ad un elevato stress biologico. In generale i tessuti umani sottoposti a stress rispondono con una reazione infiammatoria che ha il compito naturale di favorire la guarigione. Quando è troppo intensa è dolorosa.
Nelle fasi iniziali post-chirurgiche si utilizza la crio-terapia applicando ghiaccio sui tessuti infiammati per migliorare le condizioni cliniche. In questa prima fase è assolutamente sconsigliata l’esposizione del ginocchio operato alla luce solare intensa e anche al calore.
La fase infiammatoria acuta o subacuta dura di solito sei mesi e solo dopo i primi quattro mesi è consentita una breve esposizione al sole con specifiche attenzioni. È consigliabile in questa fase utilizzare una crema solare SF50 a schermo totale sulla cicatrice e coprire la ferita con una medicazione impermeabile e traspirante. L’esposizione diretta della cicatrice al sole può dare luogo ad una cicatrice ipertrofica ed iper pigmentata molto brutta dal punto di vista estetico e a volte dolorosa. Il ginocchio va comunque tenuto coperto con un asciugamano umido.
Dopo otto mesi circa la cicatrice appare di solito più chiara dei tessuti circostanti e va, comunque, protetta da un’eccessiva esposizione solare.
Come si deve dormire con una protesi al ginocchio?
L’intervento di protesi al ginocchio ha un importante impatto fisico e psicologico sul paziente. Per questo motivo disturbi del sonno possono apparire anche a sei mesi dall’operazione. Nei casi di insonnia agitata ci si può aiutare con farmaci che aiutano il sonno, per esempio la melatonina, o con tranquillanti naturali come le tisane calmanti alla camomilla. Solo nei casi più gravi si consiglia il ricorso a farmaci più potenti.
All’origine possono esserci anche motivi fisici che disturbano il riposo notturno. Il consiglio più semplice è quello di tenere una borsa del ghiaccio sul ginocchio per una quindicina di minuti prima di andare a letto. Oppure, assumendo antiinfiammatori o antidolorifici. Anche se spesso, dal secondo mese però non dovrebbe essere più necessario assumere questo tipo di farmaci.
Anche la posizione a letto può essere di grande aiuto nel lenire in fastidio notturno. La posizione ideale è quella supina. È consigliabile posizionare uno o due cuscini sotto l’arto operato in modo da tenerlo leggermente flesso ed elevato. Questa posizione aiuta il drenaggio dei liquidi infiammatori dai tessuti diminuendo di molto il dolore. Se non si riesce a tenere la posizione supina si può anche dormire sul lato sano inserendo un cuscino tra le gambe per evitare contatti diretti tra le due ginocchia. Dolori molto intensi richiedono un consulto con il chirurgo ortopedico.
Una sindrome che caratteristicamente provoca dolore notturno è la sindrome patellare. Fino a poco tempo fa non esistevano terapie specifiche per questo problema, oggi si possono fare terapie con infiltrazioni in ambulatorio che risolvono il problema nella gran parte dei casi.
Come salire e scendere le scale dopo l’intervento di protesi al ginocchio?
L’intervento di protesi di ginocchio ha l’obiettivo di ripristinare la mobilità e la stabilità articolare in assenza del dolore. Questo obiettivo è raggiunto nella maggior parte dei casi, ma è bene fare delle precisazioni. I risultati sono influenzati in maniera importante dalle condizioni locali e generali del paziente e dalla capacità di seguire i consigli del medico e del fisioterapista. Gà è stato sottolineato come una buona preparazione pre-operatoria, con perdita di peso, tonificazione muscolare e astinenza dal fumo di sigarette può migliorare di molto la riabilitazione post-operatoria.
La salita e la discesa delle scale richiede una notevole coordinazione muscolare ed una capacità muscolare adeguata al peso del paziente. Specialmente nei primi due mesi. Sarà il isioterapista a spiegare al paziente come affrontare le scale e quale arto utilizzare per primo, sia in discesa che in salita. In linea generale, nelle prime fasi si dovrà imprimere gran parte del carico sull’arto non operato e sulle braccia. In generale, si affronteranno le scale con maggiore scioltezza solo dopo 4/6 mesi. In base alle condizioni generali del paziente.
Quale anestesia per le protesi di ginocchio?
L’anestesia è una componente importantissima per il comfort del paziente e per la perfetta riuscita dell’intervento chirurgico. Con l’evolversi delle tecniche anestesiologiche si è passati dalle tecniche in cui si addormenta il paziente a quelle loco-regionali, in base alle quali si addormenta solo la parte da sottoporre ad intervento.
L’anestesia generale è ancora un pilastro della anestesiologia in quanto, con le nuove tecniche e con i nuovi farmaci a disposizione, è ancora utilissima e con bassissimi rischi per il paziente. Oggi viene ancora molto utilizzata per la chirurgia addominale e toracica e in linea di massima in tutti gli interventi che hanno una lunga durata. Per la chirurgia degli arti inferiori oggi viene utilizzata, nel 90% dei casi, la tecnica della iniezione di anestetico nello spazio subaracnoideo, detta anche “spinale”, la quale permette di anestetizzare solo la parte inferiore del corpo. La perdita della sensibilità dolorosa è completa, rimane la sensibilità tattile che a volte può dare discomfort in pazienti molto ansiosi. La componente motoria può essere interessata o meno a seconda del tipo e della quantità di farmaci iniettati.
In generale, negli interventi di ortopedia la perdita della componente motoria è voluta e desiderata in quanto consente una migliore valutazione della tensione delle componenti capsulo-legamentose durante l’impianto delle componenti protesiche. La durata dell’anestesia completa va dalle due alle quattro ore. Questa metodica anestesiologica deve essere considerata come prima scelta nell’impianto di protesi ortopediche agli arti inferiori che, se ben condotta , presenta rischi quasi nulli. In alcuni casi, in pazienti ansiosi o scarsamente collaborativi si può associare una blanda sedazione, che facilità la tollerabilità sia per il paziente che per il chirurgo.
Come prepararsi all’intervento di protesi al ginocchio?
La preparazione fisica comprende diversi punti.
Il primo punto è quello di normalizzare per quanto possibile il peso corporeo. L’eccesso ponderale ha influenze negative importanti sulla perfetta riuscita dell’intervento. Nel post
operatorio è più frequente avere stati infiammatori del ginocchio e della cicatrice chirurgica e la riabilitazione è difficile o ritardata. In pazienti obesi è molto più difficile raggiungere una adeguata mobilità articolare e una deambulazione fisiologica. A lungo termine il peso eccessivo causa una maggiore usura delle componenti protesiche riducendone notevolmente la durata. In generale i pazienti sovrappeso hanno molto più frequentemente dolore intermittente al ginocchio operato. Il raggiungimento del peso ottimale spesso non è facile per la vita sedentaria e la depressione dovuta al dolore costante.
Il secondo punto è quello di migliorare per quanto possibile il tono e l’elasticità muscolare. In molti pazienti il dolore limita la mobilità con successiva perdita significativa della massa muscolare. Esercizi dolci di tonificazione ma soprattutto di allungamento muscolare migliorano la qualità dei tessuti sui quali si va ad operare con una notevole facilitazione delle fasi successive riabilitative.
Il terzo punto: molto importante è identificare e curare infezioni in atto in altri siti anatomici.
Infiltrazioni urinarie, dentarie, polmonari ecc. devono essere identificate e curate prima di poter eseguire l’intervento protesico. La presenza di infezioni in altri siti aumenta notevolmente l’incidenza delle infezioni protesiche con conseguenze disastrose sulla funzionalità e durata della protesi.
Il terzo punto da considerare è l’astensione dal fumo di sigarette. E’ scientificamente provato che i pazienti fumatori hanno un rischio notevolmente aumentato di complicanze generali e
locali. I pazienti fumatori presentano spesso un ritardo nella guarigione della cicatrice protesica e un aumentato indice di mobilizzazione delle componenti protesiche.
Il quarto punto da considerare è la presenza di patologie croniche. La malattia che più aumenta il rischio nella chirurgia protesica è il diabete. La malattia diabetica deve essere inquadrata, curata e stabilizzata prima di procedere all’intervento.
Anche l’assunzione di alcuni farmaci deve essere valutata. I farmaci più importanti da sospendere almeno 7 giorni prima dell’intervento sono gli anti-aggreganti piastrini (e.g. Duoplavin). Sono farmaci che interferiscono con la coagulazione e possono essere pericolosi sia per l’anestesia che per l’intervento chirurgico.
La Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico si è dotata del braccio robotico per la protesi personalizzata.
Dimenticate gli interventi effettuati con la chirurgia ortopedica classica, anzi no. Teniamoli presente e facciamo la sorprendente scoperta che Mako, il robot per la protesi ortopedica, riesce a effettuare interventi di artoprotesi di anca e di ginocchio parziale e totale con maggior precisione e accuratezza rispetto agli interventi effettuati con la chirurgia ortopedica classica. Ovviamente, dietro rimane fondamentale l’esperienza dei camici bianchi. A dotarsene subito, la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.
Grazie a una progettazione della protesi che viene effettuata sul singolo soggetto, attraverso le immagini della TC, lo specialista ortopedico realizza sul software un modello 3D della zona da operare e una protesi ad hoc. In considerazione dell’anatomia, dei legamenti dell’articolazione e dello spessore della cartilagine del paziente. Il chirurgo, in sala operatoria, guida il braccio robotico con la possibilità di correggere e calibrare l’inserimento della protesi, riducendo l’incidenza dell’errore umano.
La combinazione tre componenti
Sono tre i componenti importanti: il braccio robot-assistito, un monitor per stabilire il corretto posizionamento delle protesi e un modulo guida, che garantisce la corretta esecuzione della procedura. La chirurgia protesica robotica è una soluzione mini-invasiva, che consente di preservare osso e cartilagine e garantisce il miglior allineamento delle componenti protesiche. Anche la protesi impiantata dura più a lungo.
L’intervento effettuato con Mako è particolarmente indicato nei casi di artrosi, osteoartrosi e artrosi post-traumatica del ginocchio. Oltre che nei casi di artrosi e fratture del collo del femore per l’intervento di protesi all’anca.
Tra le patologie articolari più frequenti, al secondo posto dopo quelle che colpiscono il menisco, ci sono quelle degenerative con lesioni alla cartilagine articolare.
Le lesioni cartilaginee possono essere localizzate, si parla allora condropatie di varia gravità ed estensione, oppure la degenerazione può interessare tutta l’articolazione caratterizzando le varie fasi dell’artrosi.
Ma quali sono le patologie degenerative che più frequentemente è necessario trattare? Sono quelle che colpiscono ginocchio e anca. Anche se, ad essere interessate, possono essere tutte le articolazioni.
Qual è il meccanismo di lesione
La cartilagine articolare ricopre tutti i capi articolari e deve assicurare un’altissima resistenza meccanica ed una resistenza all’attrito bassa. Tra le caratteristiche di questo tessuto c’è il metabolismo molto basso e l’assenza di vasi sanguigni. È questa la ragione per la quale la cartilagine non guarisce spontaneamente in seguito a una lesione.
Le lesioni cartilaginee possono essere primarie o idiopatiche legate ad una scarsa resistenza intrinseca oppure, possono essere secondarie a trauma o sovraccarico funzionale.
Per molto tempo il dolore per la lesione è stato trattato con anti-infiammatori e gli anti-dolorifici. Un importante passo avanti è stato compiuto negli ultimi venti anni utilizzando acidi ialuronici di vario peso e complessità. Un ulteriore passo avanti si è fatto con l’ingresso nella gamma dei trattamenti dei fattori di crescita piastrinici. Dal sangue omologo del paziente, tramite un comune prelievo ematico, è possibile isolare la componente plasmatica ricca di piastrine che contengono al loro interno numerosi fattori di crescita. I fattori di crescita piastrinici sono in grado di attivare le cellule accelerando la guarigione tissutale e stimolano la crescita dei vasi che facilitano l’afflusso sanguigno e quindi la guarigione.
La tecnica chirurgica prevede nel 90% dei casi una artroscopia diagnostica e chirurgica preliminare. In artroscopia si conferma visivamente la diagnosi di condromalacia e si passa allo studio della lesione in base all’ubicazione, allo stadio ed alla sua estensione.
La fase chirurgica consiste in una condroplastica, cioè nella rimozione della cartilagine necrotica e nella smussamento e regolarizzazione dei margini della lesione. Ovviamente in questa fase si trattano anche eventuali lesioni associate come per esempio una lesione meniscale.
La fase successiva è il prelievo delle cellule staminali. Il prelievo da tessuto adiposo avviene attraverso una micro incisione nell’ombelico. Il prelievo, in particolari casi, può essere effettuato anche sui fianchi o dall’interno cosce. Il tessuto adiposo viene prelevato con particolari cannule, simili a quelle della liposuzione, in maniera atraumatica.
Il tessuto viene lavato abbondantemente e frazionato, poi si separa la parte fibrosa dalla parte cellulare. Le cellule vengono poi attivate con stress meccanici. Il preparato viene quindi iniettato in articolazione.
Il prelievo dal midollo osseo avviene in maniera differente
Si utilizza una cannula tagliente di circa 4 mm di diametro che viene infissa di solito subito al di sotto del ginocchio e poi con un kit apposito si crea una depressione che aspira il midollo osseo. Il prelievo viene, quindi, centrifugato e poi le cellule vengono separate dal restante con sistemi elettro-meccanici. La porzione cellulare concentrata viene iniettata in articolazione. Suturati i tramiti artroscopici si procede al bendaggio compressivo post-operatorio.
Fase post-operatoria e riabilitazione
Il paziente solitamente viene dimesso il giorno seguente l’intervento, con la fasciatura sia in sede del prelievo sia all’articolazione trattata. Egli per tre settimane deve deambulare con doppio bastone e carico sfiorante sull’arto operato. La prima medicazione avviene la settimana seguente e la rimozione dei punti di sutura dopo 14 giorni. Il carico viene concesso progressivamente e la deambulazione e buona dopo 40 giorni. In alcuni casi sono necessarie alcune sedute di fisioterapia per riacquistare completamente la mobilità articolare ed il tono muscolare.
La chirurgia mininvasiva è entrata a pieno titolo in traumatologia per affrontare le conseguenze di incidenti stradali, sportivi e domestici. Questa pratica si traduce in cure meno traumatiche e meno dolorose e tempi di recupero più rapidi. Al posto delle ampie incisioni per raggiungere l’osso fratturato e ricomporlo oggi, dopo accurate indagini con l’ausilio della Tac, si introducono piastre attraverso piccoli fori che si fanno “scivolare” tra i muscoli per metterle in posizione. I metodi tradizionali comportavano, invece, interventi invasivi con il sempre presente rischio di infezioni sui tessuti già traumatizzati e lacerati. .
Il dottor Fabrizio Cortese, presidente di OTODI (Ortopedici Traumatologi Ospedalieri d’Italia), ha bene presente il momento in cui è avvenuto il passaggio e quale sia la sua importanza: “Inizialmente agivamo dall’esterno solo in artroscopia per riparare i menischi all’interno del ginocchio, ma ci siamo resi conto che sviluppando queste tecniche avremmo potuto operare anche sulle fratture danneggiando meno i tessuti molli che gli stanno intorno – ha spiegato in una sua dichiarazione -. La nostra preoccupazione maggiore era quella di evitare le infezioni, perché una infezione ossea è uno problema tra i più difficili da risolvere”.
L’evoluzione metodologica e tecnologica ha la sua applicazione nell’Orthopedic Damage Control, cioè nel fissare con viti e fissatori la frattura e poi nell’operare dopo diversi giorni quando i tessuti si sono normalizzati. Fondamentale è l’ARIF, la fissazione artroscopica assistita, con l’ausilio di microtelecamera introdotta nell’articolazione per seguire al millimetro come ricomporre l’osso fratturato.
Una Rete Trauma Nazionale
Ortopedia e traumatologia diventano sempre più sicure e sofisticate, grazie a attrezzature ad alta tecnologia e medici con una formazione e una preparazione specifica. L’auspicio è che si diffondano sempre di più i centri specializzati in chirurgia per il bacino, altri per la caviglia, altri per il ginocchio e così via. In attesa che, grazie all’impegno di tutte le autorità sanitarie competenti, nasca al più presto una Rete Trauma Nazionale.
L’Ortopedia di Tortona fa scuola, grazie alla robotica che ha raggiunto vette inimmaginabili e alla collaborazione con il più grande esperto di chirurgia robotica ortopedica. Il chirurgo australiano Chris Roberts, che si divide tra il Mater Private Hospital di Sidney e il Northern Beaches Hospital di Frenchs Forest, è stato tra i primi utilizzatori del robot ortopedico nel suo paese.
Personalizzazione nel posizionamento della protesi di ginocchio
Nel reparto di Ortopedia dell’ospedale di Tortona ha assistito ad alcuni interventi di protesica di ginocchio realizzati con l’ausilio della realtà aumentata. La nuova tecnologia che da oltre un anno ha reso questo uno dei più rinomati centri in cui essa è praticata. Non a caso Giancarlo Bonzanini, direttore della struttura di Ortopedia, fa parte di un gruppo di esperti europei utilizzatori della realtà aumentata nella protesi di ginocchio.
La personalizzazione nel posizionamento della protesi di ginocchio offre risultati decisamente migliori rispetto agli interventi praticati con le metodologie tradizionali. Le protesi del ginocchio devono essere diverse per ogni diverso paziente e le differenze possono essere minime, si esprimono spesso in pochi millimetri o gradi.
La metodica, estremamente innovativa, ha l’obiettivo di migliorare l’applicazione chirurgica della tecnologia e di sviluppare centri dedicati all’apprendimento per i chirurghi ortopedici che si vogliono confrontare ed apprenderla.
Uno dei legamenti più importanti e più studiati del ginocchio è il legamento crociato anteriore. Innanzitutto, per la sua funzione di stabilizzatore primario passivo del ginocchio. Ed anche perché è il legamento che più frequentemente è soggetto a rottura traumatica.
L’articolazione del ginocchio
L’articolazione del ginocchio è complessa dal punto di vista anatomico e, allo stesso tempo, fondamentale per assicurare una buona mobilità con una ottima stabilità. La stabilità è indispensabile per assicurare un punto fermo sul quale scaricare il peso del corpo al suolo. La forma del L.C.A. gli permette di funzionare assicurando appunto mobilità e stabilità.
La funzione principale del legamento crociato anteriore
La funzione principale del legamento crociato anteriore è quella di opporsi agli slittamenti anteriori della tibia sul femore. Altre funzioni sono quelle di opporsi alla iperestensione del ginocchio (varo – valgo) ed alle forze che agiscono da dentro e fuori la tibia rispetto al femore. Il legamento crociato anteriore è composto da due fasci ed è posizionato tra il femore e la tibia. La sua è una vascolarizzazione di tipo terminale, difatti se si rompe il vaso afferente non vi sono vie alternative che consentono la vascolarizzazione. Ecco perché, in caso di rottura, non vi sono probabilità che possa guarire da solo, ma va sostituito interamente.
I traumi distorsivi
Il meccanismo classico che porta ad una lesione è un trauma distorsivo del ginocchio, con il ginocchio in semi flessione. Questo accade frequentemente durante una attività sportiva o ricreativa, così come durante un cambio di direzione nella corsa o in seguito a un atterraggio da un salto o in un contatto con il terreno di gioco. A volte il trauma è la conseguenza di una torsione del corpo con il piede fisso al terreno.
La sintomatologia
La sintomatologia, nel caso di una lesione isolata, appare nell’immediato abbastanza lieve. Il soggetto riprende a camminare e solo il giorno seguente si ritrova con il ginocchio gonfio di sangue (emartro) e impossibilitato a camminare. In caso di trauma serio, laddove vi sono lesioni associate, la sintomatologia può essere imponente con l’impossibilità di appoggiare il piede al suolo per il troppo dolore.
Il trattamento della lesione
Il trattamento è quasi sempre chirurgico. Solo in pazienti ultrasessantenni in particolari condizioni è consigliabile il trattamento conservativo, in tutti gli altri casi è indispensabile la ricostruzione chirurgica. Il trattamento è in artroscopia, per il basso impatto chirurgico e per la maggiore velocità della ripresa delle attività lavorative e ricreative. Oggi le tecniche di ricostruzione sono abbastanza standardizzate. Le differenze sono relative a quale tessuto utilizzare per la sostituzione e quale metodo utilizzare per la fissazione del neo-legamento all’osso. I tendini autologhi più utilizzati sono il semitendinoso e gracile oppure il tendine rotuleo.
I diversi metodi di intervento
L’utilizzo del gracile e semitendinoso permette una riabilitazione facilitata. Negli ultimi anni la tecnologia ci ha messo a disposizione anche la possibilità di usare allograft da cadavere o anche tessuto eterologo da suino. I risultati sono incoraggianti, mancano ancora però statistiche sugli esiti nel lungo periodo. Esistono anche tendini sintetici che vengono spesso usati come augmentation, cioè rinforzo di un trapianto che si teme non sia abbastanza resistente.
I sistemi di fissazione all’osso più utilizzati sono “a sospensione” oppure “ad interferenza”. Il sistema a sospensione si fissa all’osso e poi il neo-legamento è fissato al sistema con fettucce in dacron molto resistenti.
Il sistema ad interferenza blocca il neo-legamento con dei chiodi o pins trasversali che ne aumentano il volume e lo bloccano nel tunnel osseo. A livello tibiale il sistema più utilizzato è quello della vite ad interferenza che schiaccia e blocca il neo-legamento sulla parete del tunnel tibiale.
C’è poi un metodo ibrido che in letteratura garantisce i migliori risultati, con utilizzo per il femore del sistema a sospensione e sulla parte tibiale del sistema ad interferenza con le viti.
In pazienti che necessitano di una ripresa più veloce si associa nei tunnel ed in articolazione l’utilizzo di fattori di crescita piastrinici (PRP/PGF) che accelerano l’incorporazione del neo-legamento all’osso e ne facilitano la maturazione biologica.
Riabilitazione
Il paziente lascia la sala operatoria con un drenaggio articolare e con una ginocchiera che limita i movimenti ai massimi gradi di flessione ed estensione che sono quelli pericolosi per il neo-legamento. La ginocchiera verrà poi regolata progressivamente durante le visite di controllo in base alle condizioni cliniche.
Dopo 48 ore, si rimuove il drenaggio e si inizia la fase riabilitativa. Dopo ulteriori 48 ore il paziente può andare a casa deambulando con doppio bastone ed appoggio sfiorante. La prima fase della riabilitazione è dedicata alla ripresa della mobilità e motilità articolare con esercizi passivi ed attivi sotto attento controllo di un riabilitatore.
La ripresa può essere facilitata ed accelerata utilizzando un Kinetec, cioè una macchina per la mobilizzazione passiva continua. Per i primi due mesi e mezzo verranno eseguiti esercizi per il rinforzo muscolare, soprattutto dei flessori del ginocchio, evitando alcuni esercizi del tipo leg extension con pesi, che mettono in eccessiva tensione il neo-legamento e possono romperlo.
Solitamente la deambulazione torna normale dopo 45 giorni, per cui è possibile la ripresa della attività lavorative. Mentre per l’attività sportiva bisogna attendere 6/9 mesi.